Moda e disabilità: facciamo DAVVERO il punto
Recentemente mi sono imbattuto in un articolo di Vanity Fair del 2018 Moda e disabilità: facciamo il punto di Giorgia Olivieri.
Il panorama mondiale offre molte possibilità
Questo articolo spiega dell'esistenza a livello mondiale di varie linee di abbigliamento per persone con disabilità, specificatamente create da grandi marchi come Tommy Hilfiger e altri.
Come pure ormai sono molte le sfilate di modelle disabili durante le settimane della moda di Milano, New York, Mosca, ecc.
Con dovizia di particolari ed elogi di vario genere l'autrice illustra le specificità di queste varie linee, spiegando anche il concetto di moda adattiva, diverso dal concetto di moda inclusiva, evidentemente superato.
Molto interessanti tutte queste disquisizioni filosofiche sui termini da utilizzare per descrivere l'abbigliamento per i disabili.
Ma i comuni disabili italiani riusciranno mai ad acquistare questi capi?
Tutti i casi citati dalla giornalista sono infatti solo delle capsule collections, degli ”esercizi di Stile” che sicuramente servono per smuovere l’opinione pubblica, ma poi ben difficilmente si traducono in capi di abbigliamento che i disabili possono comunemente acquistare, magari a prezzi popolari e non da alta moda.
Il panorama italiano sembra non offrire nulla
L'articolo poi prosegue raccontando che a fronte di così tanti produttori a livello mondiale, in Italia, universalmente riconosciuta come patria della moda, non c'è praticamente nulla.
Ecco, io per questa affermazione sono profondamente offeso.
O meglio, sono in primis dispiaciuto perchè un/una giornalista degno di questo nome si presume che un minimo di ricerca bibliografica sia in grado di farla, tipo usare almeno Google. Se digita "abbigliamento per disabili" o "abbigliamento e disabilità" o qualsiasi altro termine riguardante la moda e il mondo dell'handicap il giornalista si imbatte, anche se non vuole o anche se può dargli fastidio perchè improvvisamente il taglio del suo articolo dovrebbe prendere un taglio diverso (visto che Lydda Wear esiste!) in Lydda Wear!
L’italianissimo marchio Lydda Wear fondato da Pier Giorgio Silvestrin nel 2002, da oltre 17 anni produce moda da uomo maschile per persone in sedia a rotelle, vende esclusivamente online ed è sempre presente con posizionamento in prima pagina sui motori di ricerca.
E se la disabilità comparisse nella sfera famigliare del giornalista?
Perché quindi mai nessun giornalista italiano che si occupa di moda per disabili in Italia ci ha mai contattato per capire come lavoriamo, chi sono i nostri clienti, come sono fatti i nostri abiti?.
Ma se il problema della disabilità capitasse a chi di solito scrive gli articoli, e se non a lui a un suo caro, sarebbe così superficiale e distratto nella ricerca di informazioni tanto da non trovarci in rete?
Sono migliaia le persone che utilizzano quotidianamente un "qualche cosa" di Lydda Wear. Possibile che i nostri clienti siano così "smanettoni" che ci trovano in rete (abbiamo degli ottantenni che grazie all'università della terza età stanno rivivendo una seconda giovinezza!) mentre i vari giornalisti siano così incapaci nel trovarci?
L’articolo spiega molto bene perché si parla di “adaptive fashion”, ossia del fatto che ogni disabilità ha le sue esigenze dal punto di vista fisico. Un cieco che cammina infatti non necessita di avere un pantalone come quello di un paraplegico che non cammina ed è seduto in carrozzina, oppure una persona affetta da distrofia e quindi seduta in sedia a rotelle non ha la stessa conformazione fisica di una che presenta i sintomi iniziali della sclerosi Multipla. Ed ancora, un bambino in sedia a rotelle che spesso presenta lesioni celebrali (poichè i bambini paraplegici sono molto rari) non ha le stesse misure fisiche di un suo coetaneo che magari ha la sindrome di down.
L'italiana Lydda Wear esiste dal 2002
Ebbene, Lydda Wear è questa da molti anni, oltre 5000 uomini italiani si vestono da noi trovando 100 tessuti sempre disponibili e la scheda della modelleria e delle misure personalizzate sempre attiva.
Vendendo solo online senza nessun negozio fisico, ma fornendo abiti personalizzati, è organizzata a livello semi-industriale, ossia con la valorizzazione del Made in Italy e la produzione a ciclo industriale partendo da capi prova, e non a livello sartoriale con capi non riproducibili.
E in questo modo si eliminano anche tutti i problemi delle eventuali barriere architettoniche dei negozi fisici.
Perchè allora si continua a dire che in Italia non c'è niente? Eppure i pantaloni delle linee Hipster e Trendy sono proprio "fighi", sono cool e alla moda, e lo dimostrano le migliaia di pezzi prodotti e venduti.
Perché non abbiamo un testimonial famoso? Ha senso cercare un testimonial famoso, quando le tipologie di disabilità sono migliaia e ognuno necessita di una propria realizzazione su misura?
Forse non è sufficiente fare solo moda uomo, ma bisogna fare anche moda donna per contare qualcosa nel mondo del fashion? Noi abbiamo fatto una precisa scelta aziendale, nel rivolgerci ad un pubblico solo maschile, anche se nel nostro shop online sono presenti anche alcuni capi specifici per bambini e per donne, sopratutto a livello di biancheria intima e costumi da bagno per patologie specifiche, che potrebbero anche configurarsi come linee di lingerie.
Personalmente ho quasi l'impressione che si continui a dire che in Italia non c'è niente, perchè così si può continuare a scrivere articoli generici sulla moda per disabili, quando invece questa avrebbe bisogno, per i disabili italiani, di essere supportata e divulgata attraverso le riviste, i blog e i social che si occupano di fashion affinchè i diretti interessati, cioè i disabili e non i giornalisti, ne possano pienamente fruire.
In questo modo si potrebbe anche agire sui prezzi e sulla varietà delle proposte.
E voi cosa ne pensate?